Intervista a Roberto Catani: il viaggio creativo dietro “Il burattino e la balena”
Abbiamo avuto il piacere di parlare con Roberto Catani, il talentuoso autore marchigiano del corto animato che sarà presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’intervista ci ha svelato il percorso che lo ha portato a scegliere la storia di Pinocchio come base per il suo lavoro e le riflessioni che ne sono derivate.
Puoi raccontarci l’evoluzione che ha portato alla scelta della storia di Pinocchio, così iconica nella cultura italiana, come ispirazione per il corto ‘Il burattino e la balena’ che presenterai a Venezia?
Il viaggio verso questo film è iniziato molto tempo fa, mentre lavoravo al mio film precedente, “Per tutta la vita”. Già allora riflettevo su un nuovo progetto, desideravo raccontare la storia di un bambino che si rifiuta di conformarsi al modello sociale, politico ed economico dominante. Tuttavia, i disegni di questo bambino risultavano troppo comuni/ dai disegni risultava un bambino uguale a tutti gli altri. Poi, durante un festival nel 2019, parlando con Regina Pessoa, un’incredibile animatrice portoghese, lei mi ha fatto notare che stavo raccontando la storia di Pinocchio. Da quel momento tutto è diventato chiaro: la fiaba di Pinocchio, che alla fine si conforma, si è rivelata perfetta per il mio racconto, ma con una svolta. Il mio burattino, al contrario, rifiuta di conformarsi e vuole rimanere tale. Vuole allontanarsi da quel modello e rifiutare l’idea di diventare un “bravo bambino”. Questo concetto si adattava perfettamente a quello che stavo cercando di esprimere.
Rispetto ai tuoi corti precedenti, questo lavoro ha un’impronta politica molto più esplicita, basti pensare alla transizione in cui la banca diventa la balena. Ho notato una continuità con “La testa tra le nuvole”, in particolare nel modo in cui l’autorità viene rappresentata, come nella figura del maestro o l’ombra che copre il volto del bambino. Mi ha sorpreso scoprire che “Per tutta la vita” precede “Il burattino e la balena”, perché vedo più analogie con “La testa tra le nuvole”. Potresti spiegare come si è evoluto questo discorso politico e come i tuoi film si collegano tra loro?
Hai colto perfettamente la mia intenzione. In effetti, “Per tutta la vita” è stato un film di transizione per me. Anche se era diverso dai due film che hai citato, mi ha dato l’opportunità di riflettere su come portare avanti il discorso iniziato con “La testa tra le nuvole”. “Il burattino e la balena” è un ampliamento e un approfondimento di quel discorso, ma con un approccio più politico e meno autobiografico. Mentre “La testa tra le nuvole” era in gran parte basato sulla mia esperienza personale, “Il burattino e la balena” è una critica più diretta e globale. Anche se mi riconosco in ciò che critico – sono un insegnante, un padre, e parte di questo sistema – ammiro profondamente chi cerca modelli alternativi di vita. Quindi, sì, c’è una continuità tra i due lavori, ma “Il burattino e la balena” rappresenta un’evoluzione verso un discorso più apertamente politico.
Il tema del ricordo è centrale nelle tue opere, spesso permeato da una malinconia che evolve nel tempo. Ne “Il burattino e la balena,” questa malinconia sembra diventare una riflessione sul futuro, mentre il legame con i tuoi ricordi d’infanzia sembra richiamare un’atmosfera quasi felliniana. Quanto sono importanti per te questi ricordi, e come influenzano anche l’aspetto sonoro dei tuoi film?
I ricordi della mia infanzia, trascorsa con i miei nonni materni in un paesino vicino a Jesi, sono molto importanti e tornano spesso nelle mie opere. Quei momenti vissuti con loro, soprattutto legati alla sartoria, mi hanno lasciato una forte malinconia, che si riflette anche nei miei lavori. Crescendo, quella malinconia si è trasformata. Ne “Il Burattino e la Balena”, c’è una malinconia per un futuro che si decide di non abbracciare. Questo riflette il mio carattere, da sempre incline alla malinconia, anche se qui ho cercato di inserire un barlume di speranza nel finale. L’influenza felliniana c’è, forse legata a quelle sonorità tipiche delle bande musicali paesane che ho sempre amato e che ho cercato di raccontare in opere come “La sagra”.
I tuoi nonni materni sembrano aver lasciato un’impronta profonda nel tuo immaginario, come si vede in “La testa tra le nuvole.” Quanto hanno influenzato il tuo lavoro?
I miei nonni hanno avuto un grande impatto su di me. La loro bontà e il loro esempio di vita mi hanno insegnato molto. Nel film, la figura della donna che cuce il bottone è ispirata a mia nonna, e quel ricordo affiora spesso nei miei lavori. Anche se cerco di esplorare nuovi temi, i legami con il passato sono difficili da spezzare.
Nel tuo lavoro, il suono sembra avere un’importanza fondamentale, quasi come se fosse integrato direttamente nel processo di creazione visiva. Ho notato che spesso hai un’idea precisa dei suoni che desideri, come un fischio o il suono di uno strumento, mentre disegni le tue scene. Questo approccio fa parte della tua visione artistica sin dall’inizio, o sviluppi il percorso sonoro in collaborazione con i musicisti in una fase successiva?
[Ma tu sei sicuro che non ci siamo già incontrati? Stai dicendo cose come se ci conoscessimo da una vita!] Sì, in effetti il suono è spesso una parte centrale del mio lavoro, e a volte i suoni nascono prima delle immagini. Ho in mente un suono specifico e, su quel suono, costruisco il movimento in animazione e la forma che dovrà assumere durante il movimento. Scrivo appunti su appunti sui suoni, ho quaderni pieni di annotazioni che poi passo ai musicisti con cui collaboro. Loro interpretano questi appunti in modo molto personale, perché sono artisti straordinari, ma seguono comunque le indicazioni che fornisco. Devo dire che ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti fantastici, che hanno sempre arricchito il mio lavoro. Il loro contributo sonoro non solo veste i miei film, ma a volte li trasforma, migliorandoli sensibilmente.
In “Il Pesce Rosso” hai inserito un monologo, cosa rara nei tuoi lavori, in cui è più il suono a parlare insieme alle immagini. Come è nata questa scelta?
In realtà, quella scelta non è stata mia. Il compositore David Monacchi ha aggiunto il voice over con la poesia scritta da lui, senza che io lo avessi richiesto. Ma mi colpì così tanto che decisi di lasciarla. Di solito preferisco che siano le immagini a raccontare la storia, perché le parole possono guidare troppo l’interpretazione. Ma in quel caso, la voce aggiungeva qualcosa di speciale.
Volevo sapere come si è sviluppata la tecnica con cui realizzi le tue opere. Come sei passato dal disegno a creare corti animati, e qual è l’origine di questa tecnica?
La mia tecnica ha radici profonde, risalenti al periodo in cui ero studente alla Scuola del Libro di Urbino. Ho iniziato lavorando con i pastelli a matita, e nel tempo, grazie agli amici e alle sperimentazioni, ho scoperto i pastelli a olio, i gessi e gli oilbar, strumenti che uso ancora oggi. È stata una lunga evoluzione, costruita giorno per giorno, con continui aggiustamenti. Due elementi fondamentali nel mio lavoro sono il pastello a matita e la punta secca, che deriva dalla mia formazione in materie incisorie, tipica della Scuola di Urbino. Queste influenze hanno contaminato il mio stile, creando una tecnica personale ma comunque permeata dalle tradizioni della scuola. Nel mio processo creativo, il gesso gioca un ruolo cruciale, sia come punto di partenza che di arrivo. È attraverso il gesso che definisco la texture e il colore dei miei disegni, utilizzandolo per aggiungere profondità e vivacità. Lavoro spesso con i polpastrelli, una tecnica che permette una variazione naturale nella pressione e nel colore, conferendo ai disegni una vibrazione unica che rende il disegno vivo. Questa variazione continua e naturale è qualcosa che apprezzo molto, perché non solo anima il movimento, ma dà anche al disegno una vita propria, attraverso quelle sfumature cromatiche che emergono dal gesso. Le tavole vengono fotografate in sequenza e, attraverso software specifici, tutte queste piccole fotografie diventano un unico modulo video. In questo modo, le immagini prendono vita e si muovono.
A livello di influenze artistiche, è inevitabile che alcuni artisti lascino un segno profondo su di noi. Hai citato Anselm Kiefer come un’influenza. Potresti parlarci un po’ di come ti abbia influenzato e di altre figure che hanno modellato il tuo percorso artistico?
Anselm Kiefer l’ho scoperto da adulto ed è stato un vero shock visivo, che mi ha profondamente condizionato, sebbene non mi possa paragonare minimamente alla sua opera immensa. La mia formazione artistica, tuttavia, ha radici diverse. Ho iniziato a esplorare l’animazione da giovanissimo, innamorandomi follemente del lavoro di Jurij Norštejn ed Emanuele Luzzati, i quali, pur appartenendo a un mondo diverso dal mio, mi hanno influenzato profondamente. Negli anni, le contaminazioni artistiche sono state molteplici. Il lavoro di Ursula Ferrara, un’animatrice toscana, ha avuto un grande impatto su di me, così come quello del mio compagno di scuola Gianluigi Toccafondo. Anche Stefano Ricci e altri artisti legati al mondo dell’illustrazione e del fumetto, da Bologna ad Amburgo, hanno avuto un’influenza importante. Nella mia adolescenza, Chagall è stato un altro punto di riferimento fondamentale. Tutte queste influenze sedimentano dentro di noi e, anche se non le riproponiamo direttamente, si intravedono nel segno e nelle forme che creiamo.
Il cortometraggio è spesso una scelta dettata da esigenze pratiche, ma nel tuo caso sembra che ci sia anche una motivazione più profonda. Potresti parlarci del tuo rapporto con il formato corto e di come influisce sulla tua espressione artistica?
La scelta di lavorare sui cortometraggi deriva da diversi fattori. Innanzitutto, trovo i lungometraggi animati noiosi; adoro invece i corti, perché permettono di concentrare una grande quantità di contenuti in poche immagini. Vedo il cortometraggio come un linguaggio più vicino alla poesia che al romanzo: è breve, intenso, e pieno di suggestioni che si possono reinterpretare in vari modi. Inoltre, c’è anche una questione pratica, un corto posso realizzarlo da solo, tranne quest’ultimo dove ho avuto due collaboratrici fantastiche Viola Mancini e Mariangela Malvaso, mentre un lungometraggio richiederebbe uno sforzo troppo grande. Mi trovo molto a mio agio con il formato corto, che mi permette di esprimermi attraverso immagini in maniera breve ma efficace.
Quando inizi a lavorare su un progetto, hai già una struttura ben definita o l’idea si sviluppa man mano che disegni?
Non ho mai una struttura ben definita all’inizio. Ho un’idea di base, che può essere un’immagine o un concetto, ma è sempre vaga. Però c’è un’idea di base come per “Il burattino la balena” dove c’era l’idea di raccontare un rifiuto, ne “La funambola” l’idea era quella di raccontare la condizione femminile, come “La sagra” era quella di raccontare non tanto una festa quanto le solitudini che si ritrovano in un certo momento all’interno di una festa paesana, quelle solitudini che si sciolgono per poi tornare ad essere tali. Da queste idee inizio a costruire un racconto visivo, cercando le immagini che possano rendere quella idea chiara e leggibile non solo per me, ma soprattutto per chi guarderà il corto.
Possiamo dunque vedere l’idea come il vestito con il bottone e il disegno come l’ago e il filo di cui parlavamo in precedenza. Hai menzionato che l’idea per “Il burattino e la balena” è nata da un input esterno. Quanto è importante per te il confronto con gli altri nel processo creativo?
È una bella lettura, mi piace, a volte dico che è come essere alle pendici di una montagna, l’idea è quella di arrivare in cima a quel monte ma il sentiero so che me lo devo costruire man mano che salgo, sbagliando, tornando indietro, cambiando percorso. Il confronto con gli altri è fondamentale. Isolarsi può portare a un impoverimento creativo, mentre il dialogo e lo scambio di idee aiutano sia nella crescita personale che nello sviluppo delle idee. Mi sforzo sempre di confrontarmi con altri artisti, scrittori, o persone di altri campi per mantenere viva la creatività e non rischiare di inaridirmi.
Un’ultima domanda prima di salutarci, hai già in mente nuovi progetti?
Durante la lavorazione de “Il burattino e la balena”, mi sono ripromesso che sarebbe stato l’ultimo, ma mi conosco abbastanza da sapere che probabilmente tornerò presto a lavorare su un nuovo progetto. Al momento, però, non ho nessuna idea concreta in cantiere. Intanto ci godiamo questa immensa soddisfazione arrivata da Venezia.
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