Io e il Secco – Gianluca Santoni ci racconta la sua opera prima nelle sale dal 23 maggio

Gianluca Santoni classe ’91 originario di Fermo, si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma con il cortometraggio Gionatan con la G. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita nelle sale del suo primo lungometraggio Io e il Secco prodotto da Nightswim con Rai Cinema, Antitalent, Sajama Films.

Il film verrà programmato nelle seguenti sale marchigiane:

  • Pesaro – Solaris
  • Pesaro – Giometti
  • Fano – Giometti
  • Ancona – Azzurro
  • Ancona – Giometti
  • Jesi -Giometti
  • Senigallia – Giometti
  • Piediripa di Macerta – Multiplex2000
  • Tolentino – Giometti
  • Ascoli – Odeon
  • Cupra Marittima – Margherita
  • Campiglione di Fermo – Super8
  • Porto Sant’elpidio – Giometti

Il 27 maggio partirà anche il tour di presentazione che porterà il regista Gianluca Santoni e il protagonista Andrea Lattanzi in alcune sale delle Marche a dialogare con il pubblico prima delle proiezioni:

  • 27 maggio ore 21.00 – Cinema Solari di Pesaro
  • 28 maggio ore 21.15 – Cinema Margherita di Cupramarittima
  • 29 maggio ore 21.00 – Cinema Azzurro di Ancona
  • 31 maggio ore 21.15 – Cinema Cecchetti di Civitanova Marche
  • 4 giugno ore 20.30 – Cinema Multiplex 200 di Piediripa di Macerata
  • 4 giugno ore 22.30 – Cinema Super 8 di Campiglione di Fermo

Scopriamo di più sul film e sulla storia di formazione del regista marchigiano attraverso questa intervista a cura di Leonardo Nicolì:

Ti diplomi al Centro Sperimentale con il corto Gionatan con la G, oltre ad una maturazione tecnica e una maggiore esperienza, quanto ci rivedi di questa prima opera nel tuo film d’esordio Io e il Secco?
Come storia c’è abbastanza poco, c’è la voglia di trattare un po’ quello stesso tema, di sviluppare quell’idea, ma con Michela Straniero – sceneggiatrice insieme a me del film – abbiamo voluto prendere delle strade completamente diverse da questo film, sia come tono che come linguaggio. Quello che rimane forse è il modo di lavorare con gli attori che sicuramente nel tempo è maturato, però la spontaneità sicuramente è rimasta.

Nel tuo corto Indimenticabile emergono una spontaneità e un messaggio di speranza che colpiscono profondamente. Affronti un tema complesso con grande delicatezza, descrivendo una storia d’amore e un incontro in modo autentico e sensibile. Come hai deciso di rappresentare questa storia sullo schermo, evitando di cadere nella banalità e nella retorica?
L’idea era proprio quella di raccontare una storia d’amore tra questi due personaggi così diversi in superficie e scoprire il punto di incontro tra questi due mondi così lontani. La delicatezza di cui parli penso sia frutto del modo in cui io e Michela vediamo le storie. Cerchiamo sempre di avvicinarci partendo dalla storia e non dal tema, scoprendo il tema strada facendo. Cerchiamo di raccontarlo con il massimo rispetto, informandoci e confrontandoci con persone che hanno qualcosa di sensato e pertinente da dire sulla storia che stiamo raccontando. Poi quello che ci guida è la voglia di conoscere i nostri personaggi, perché pensiamo che esistano già da qualche parte dentro e fuori di noi e vogliamo conoscerli e raccontarli con il massimo del rispetto.

Sempre nel tuo corto Indimendicabile, la figura della farfalla è centrale: passiamo dalla farfalla iniziale che non riesce a uscire dalla finestra allo sciame finale che vola liberamente nella stanza. Indipendentemente dal fatto che quello che vediamo sia reale o meno, cosa rappresenta simbolicamente il volo della farfalla?
La scelta del finale e della metafora rappresenta la possibilità. Non volevamo fornire un lieto fine plausibile né un finale troppo drammatico e prevedibile. Volevamo mostrare che esiste una possibilità in cui questi due mondi così lontani possono incontrarsi e provare qualcosa l’uno per l’altro. Non importa se il ritorno di Angel da Luna sia reale o immaginario; ciò che conta è dimostrare che è possibile.

Prendendo spunto da esempi come Piccolo corpo di Laura Samani, con cui hai condiviso il percorso al CSC di Roma, o Margini di Niccolò Falsetti, anche tu da Indimenticabile fino ad arrivare a Io e il Secco hai sempre mostrato un forte desiderio di esaltare il territorio e di portare con te la dimensione provinciale che punta a valorizzare i valori e la cultura della provincia. Questo legame con il territorio, in contrasto con la cultura di una grande città, lo vedi più come una risorsa che un limite? Come hai integrato nella tua regia e nella scrittura il contrasto tra la vita di provincia, legata a Monte Urano, e la dimensione urbana per esempio di Roma?
In realtà anche con Io e il Secco c’è stato un lavoro importante sul territorio perché succede che, quando sei a casa, raccontare storie del posto in cui sei cresciuto è un tornare a casa e sfruttare quelli che sono i ricordi quindi un materiale narrativo da cui hai una giusta distanza. Anche la percezione della malinconia del ricordo se la vivi in un posto familiare è totalmente diversa da viverla fuori, no?
Eppure, come nel caso di Io e il Secco, penso che sia sempre molto importante che il territorio sia presente nelle storie che raccontiamo. In Romagna non giocavo in casa ma ho proprio fatto la scelta di non usare la Romagna, ma di raccontarla, di cercare di vivere il più possibile quei luoghi in cui ho passato tanto tempo, prima nella fase dei lunghissimi sopralluoghi, quando avevamo capito che ci fosse la possibilità di ambientare lì la nostra storia. Sono andato prima di riscrivere a girare per quei luoghi e a capire se fossero adatti per la storia che stavamo raccontando e ho scoperto che erano perfetti forse addirittura ideali per il nostro film. E poi ho passato tantissimo tempo nella fase di casting a conoscere le persone a fare provini e cercare di capire bene il luogo che stavamo raccontando e come questo potesse entrare.

Immagino che il casting per la parte del bambino, Denni (Francesco Lombardo), sia stato particolarmente difficile, nonostante il risultato sia evidente a tutti. Poi, il resto del casting è formato da attori e attrici importanti come Barbara Ronchi, Andrea Sartoretti e Swamy Rotolo. E Andrea Lattanzi, già protagonista del corto Indimenticabile, che interpreta il Secco. Puoi raccontarci qualcosa sul processo di casting e su come hai scelto questi attori per i loro ruoli?
Sono grato di aver avuto l’opportunità di lavorare con attori talentuosi ed esperti come Andrea Sartoretti e Barbara Ronchi, che hanno apportato molto al film con la loro esperienza. È stato importante per me che fosse presente l’accento romagnolo; quindi, è stato bello vedere come si siano impegnati a lavorare su quella musicalità. Oltre a loro, nel cast di “Io e il Secco” ci sono molti attori non professionisti, selezionati dal
territorio, come Lanfranco Vicari (Moder) e Max Penombra, entrambi rapper attivi a Ravenna, che hanno
aggiunto autenticità al film. Abbiamo scoperto diversi talenti durante le audizioni e alcuni di loro potrebbero
avere un futuro nel mondo della recitazione.

Nel film Io e il Secco, Denni, osservando il Secco dall’esterno e basandosi su un malinteso, si immerge in un mondo di avventura e amicizia quasi fraterna. Questo crea una narrazione ricca di sfumature
emozionali e umane. Come hai affrontato il delicato equilibrio tra la cruda realtà e la fantasia, l’ironia
e la tenerezza nella tua regia e nella scrittura del film? Come è stato immaginare di esplorare il mondo
attraverso gli occhi di Denni?

Anche quella è un’operazione che si fa in due modi, nel primo caso ci si serve dei ricordi, questo materiale narrativo che conosci molto bene perché è qualcosa che hai vissuto in prima persona, ma da cui hai anche la giusta distanza per capire cosa possa diventare una storia e cosa no. Anche se questa non è la mia storia, nel personaggio di Denni, per il suo carattere, per le cose che fa, ho usato molto di quello che ero io da bambino. Il secondo modo è quello di lasciarsi un pochino guidare dal piccolo protagonista. Il più delle volte ho cercato di essere io a farmi guidare da lui, dalle sue indicazioni, chiedendogli come avrebbe fatto una determinata scena, per cercare di far sì che il personaggio e di conseguenza la regia fossero più vicini a lui.
Da una parte c’erano attori con maggiore esperienza, da cui cercavi di apprendere il più possibile e a cui davi istruzioni. Dall’altra parte, c’era un attore meno esperto che, in qualche modo, riusciva a far sì che il copione si adattasse a lui.

Come ti ha influenzato questa esperienza formativa nel relazionarti a lui come regista? In che modo ha inciso sulla tua visione di regia e sulla scrittura del film?
Se dovessi girare un altro film con protagonista un bambino dell’età di Francesco Lombardo (Denni), sarebbe comunque un’esperienza nuova. Perché ogni volta è diverso, non appena tu cambi l’elemento umano, la persona, è come se dovessi inventarti un nuovo modo per lavorarci. Hai sicuramente l’esperienza fatta di cui ti puoi servire, ma non puoi pensare di replicarla al 100%. Ci tengo a sottolineare che quando si lavora con i bambini e in generale con attori non professionisti, la cosa più importante è valorizzare la loro spontaneità. Questo richiede una ricerca approfondita, come quella che abbiamo condotto per il personaggio di Denni. La ricerca, svolta con Giulia Campi, giovane sceneggiatrice che ha imparato a fare lo street casting per l’occasione, è stata fondamentale. È altrettanto cruciale affiancare gli attori non professionisti con attori esperti. Se Francesco Lombardo ha fatto un ottimo lavoro, molto lo dobbiamo ad Andrea Lattanzi e al rapporto che lui è riuscito a instaurare con Francesco e viceversa. Penso che la recitazione di Andrea sia stata arricchita in maniera importante dalla spontaneità di Francesco.
Lo stesso vale per Andrea Sartoretti e per Barbara Ronchi, nel senso che sono tutti attori che sono capaci di
destrutturarsi e di accogliere quella spontaneità che può dare un giovanissimo attore alla prima esperienza
come Francesco.

Rispetto ad altre opere come C’è ancora domani, dove la violenza è più esplicita, in Io e il Secco questa fa più da sfondo alla storia. Come hai deciso di trattare questo tema, considerando il coinvolgimento di
un bambino come attore protagonista che incarna il paradosso della violenza, volendo far uccidere il
padre, una figura violenta all’interno della famiglia? E come hai gestito il rapporto complesso del
bambino con il padre?

Il paradosso di cui parli è stato il punto di partenza per me della storia. Volevo raccontarlo perché Denni, alla
fine, è un giovanissimo uomo o, per meglio dire, un bambino che deve inconsapevolmente decidere che uomo diventare. Alla fine il nostro film ha a che fare al 100% con la violenza di genere. Ma più che parlare di
violenza, ci siamo resi conto che quello che dovevamo fare e che stavamo facendo, era parlare delle cause
della violenza di genere e di conseguenza della mascolinità tossica. Inoltre, volevamo sottolineare quanto sia difficile evitare certi modelli e quanto sia facile commettere errori durante la crescita ma, nonostante questo, esiste sempre la possibilità di correggere la propria strada.

Possiamo dunque dire che sia questo rapporto causa-effetto della violenza a diventare protagonista e
non la violenza in quanto tale che porta il bambino ad avere difficoltà nel riconoscere la figura maschile
di riferimento e quindi a legarsi a quello che trova più vicino emotivamente o nel quale tende a rivedersi?

Esatto, il discorso è proprio che questa avventura, questa ricerca inconsapevole di un nuovo modo di essere
uomini è quello che alla fine unisce Denni e il Secco. Sono due uomini di età estremamente diverse che però
si trovano entrambi a disagio, si sentono fuori luogo rispetto a quei modelli. E quindi diciamo che alla fine è
vero che Secco diventa un punto di riferimento per Denni, ma è anche vero che Secco in qualche modo con
Denni riesce a capire di poter essere un padre diverso da quello che ha avuto.

Come se paradossalmente in Denni ritrovasse sé stesso e una sorta di scopo, in quanto a realizzarsi come
individuo?
Assolutamente. Soprattutto capisce che, anche se sente di non aver avuto modelli adeguati, adesso il modello può essere lui.

Già in Indimenticabile la colonna sonora assumeva un ruolo molto importante, in Io e il Secco hai scelto
di portare sullo schermo la canzone Sere nere che incarna il giusto connubio tra sofferenza, rabbia e
tenerezza. Quindi in un certo senso possiamo dire che racchiudendo tutte queste emozioni può diventare
la perfetta sintesi del film stesso?

È esattamente quello che abbiamo fatto. Abbiamo scelto questo pezzo iconico che ha quella forza ed è capace di trasmettere rabbia, sofferenza ma anche ironia, oltre alla capacità di commuovere. Volevamo una canzone che contenesse diversi temi e che allo stesso tempo fosse popolare e riconoscibile ma non così utilizzata nel mondo del cinema.

Quali sono le figure di riferimento nel campo artistico, letterario, cinematografico che senti di portare con te nel tuo cinema, in particolare nel film Io e il Secco? Ci sono influenze o ispirazioni che rivedi quando guardi le tue opere e che forse non avevi percepito di aver inserito inizialmente?
Sono più incline ad innamorarmi dei film piuttosto che degli autori o delle autrici. Quando racconto una storia, cerco di evitare di fare riferimento a qualcosa che ho già visto durante la scrittura. Tuttavia, quando si tratta di mettere in scena, i riferimenti possono emergere dai punti più inaspettati. Ad esempio, c’è una scena in Io e il Secco che richiama una sequenza del primo film di Harry Potter, rimasta impressa nel mio inconscio per tutti questi anni, nonostante questi due film appartengano a mondi cinematografici completamente diversi. In generale, se devo indicare un autore a cui cerco di fare riferimento, pur lavorando su cose diverse, è Ken Loach.

Quanto è centrale all’interno delle tue opere il tema della famiglia e dei legami familiare da Indimenticabile fino a Io e il Secco?
La verità è che non ho mai pensato a come il tema o la figura della famiglia attraversi le cose che ho girato.
Penso in generale che nella nostra cultura la famiglia è un qualcosa che conosciamo tutti come esseri umani. Sicuramente mi affascina e mi interessa e penso che oggi più che mai sia qualcosa su cui riflettere e ragionare, sul significato più ampio e profondo della parola famiglia.

Un’ultima domanda prima di salutarti riguardo i progetti futuri, ho sentito che stai lavorando ad un
altro racconto di formazione, basato su una storia d’amore, cosa puoi dirci di più?

Ti confermo che è così, ma non ho la certezza che quello sarà il mio prossimo film. Mi sono state proposte
altre storie interessanti da girare e quindi sto ragionando con Nightswim, la produzione di Io e il Secco, su
quale potrebbe essere il prossimo film da fare insieme.

Scopri tutte le date di Io e il Secco nelle Marche:

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